HEIDEGGER:
L’ANTISEMITISMO E E LA POLITICA
(da "Il Foglio", 12/08/2016)
E se qualcuno cercasse di persuaderci che Martin Heidegger, forse l’ultimo filosofo dell’Essere, è pensatore fortemente politico? Inarcherebbero le sopracciglia i suoi ammiratori: “Ecco che ritorna fuori quella storia dell’antisemitismo”. Beh, è vero: la questione dell’antisemitismo di Martin Heidegger è scottante e controversa. Che il filosofo considerato tra i massimi se non il massimo del novecento possa essersi macchiato di una colpa così infamante appare impensabile, inaccettabile. Fino ad oggi le prove sembravano schiaccianti, specie dopo la pubblicazione dei primi “Quaderni neri”, taccuini nei quali il pensatore tedesco annotava le idee man mano che gli si presentavano, senza altro ordine che quello puramente cronologico. I “Quaderni neri” offrono testimonianze ritenute inconfutabili. Oltre a un repertorio di espressioni ricalcate sulla più volgare iconografia dell’Ebreo avido e“calcolatore” vi appaiono espressioni più pesanti che fanno dell’Ebreo un personaggio metafisico, partecipe, ma in negativo, della “storia dell’Essere”. Ne avevo già scritto, sul “Foglio” .
Ma è ora in libreria, passata finora sotto silenzio, una
raccolta di saggi che si propongono di smantellare le critiche e di dimostrare
l’assoluta estraneità del filosofo rispetto a quelle pesanti accuse: F.W. von
Herrman – F. Alfieri: “Martin Heidegger. La verità sui ‘Quaderni neri’ “, 459 pagg., Morcelliana 2016, 35 euro.
Francesco Alfieri è Docente presso la
Pontificia Università Lateranense. Difficile riassumere questa ponderosa silloge che si presenta con l’avallo di
Hermann Heidegger e di Arnulf Heidegger, “Amministratore del Nachlass di Martin Heidegger”. I saggi
recano altre autorevoli firme, quelle di Leonardo Messinese e di
Claudia Gualdana.
Di sicuro, le argomentazioni che vi sono offerte sono molto
abili e hanno un forte crisma di
credibilità; quello che è meno convincente e a mio avvio inficia le
ricostruzioni è che tutti i saggisti puntano a dimostrare come le accuse
rivolte a Heidegger sono il frutto di
una sorta di congiura tessuta in perfetta malafede, soprattutto da persone ignoranti
di filosofia, al più pennaioli dilettanti. Né persuade la tesi secondo la quale i “Taccuini” sono scritture
private, che non possono essere poste allo stesso livello di importanza delle
grandi opere teoretiche del filosofo. Heidegger fu sempre esplicitamente molto attento a queste
sue riflessioni, seppur d’occasione, non sembra le abbia trattate come un
“notebook” per insignificanti, incidentali appunti.
Ma in definitiva, per quanto sia allettante e appaia
attuale, la polemica sull’antisemitismo è , nel quadro di una complessiva
analisi (o critica) del pensiero heideggeriano , vicenda secondaria. I saggisti
del volume di cui stiamo parlando sono unanimi nel respingere l’idea che il loro
filosofo possa essere sottoposto ad una critica “in termini
politico-ideologici” invece che “in modo puramente oggettivo e scientifico”:
per loro, “Il pensiero heideggeriano della storia dell’essere o della storia
dell’evento non ha nulla a che vedere con un pensiero politico-ideologico ma è
(...) un pensiero fenomenologico-speculativo”. E invece, a mio (modesto) avviso
di non filosofo di professione, la filosofia heideggeriana è impregnata di politica, anche se in una
formulazione ellittica, di alto stampo metafisico, e sollecita risposte
politiche: anzi, ha storicamente
provocato forti, seppur indirette risposte politiche.
La politicità di
Heidegger è nel cuore stesso di tre suoi
temi essenziali: il rifiuto della modernità e della sua tecnica (all’interno
del quale trovano posto, forse anche solo per incidens, leconsiderazioni dal
tono antisemita); la condanna del pensiero “inautentico”, legata strettamente
alla tesi, centralissima nelle sue opere più importanti, dell’”essere-per-la
morte”, un tema presente in vasti settori della “destre” estreme d’Europa, con
il loro macabro élitismo. La riflessione sulla tecnica è segnata da un profondo
pessimismo, dalla convinzione - del resto
condivisa da altri pensatori, Marcuse e la Scuola di Francoforte, Hannah Arendt, Hans Jonas, il nostro Emanuele
Severino, ma anche largamente diffusa, almeno fino a ieri,- nella Chiesa cattolica -
che la tecnica moderna sia
manifestazione della logica nichilistica
che pervade e sostanzia il mondo
industrializzato e capitalistico, non – come a me invece sembra - l’ultimo (teleologico?) sviluppo di quella
caratteristica che è propria dell’homo abilis, quella del pollice opponibile e della
mano prensile, adatta a maneggiare strumenti e a fabbricare tecnologia, caratteristica che lo distingue dalla scimmia
antropomorfa dalla mano ancora atta ad un comportamento da arboricolo.
Quante scelte concretamente
politiche sono state assunte, in Europa e più latamente nell’Occidente
industrializzato e globalizzato, su questa linea, magari contemporeaneamente –
e contraddittoriamente - alla richiesta di liberalizzazione delle tecniche di
mutazione genetica per piante di largo
uso alimentare? Non è un caso che proprio in Europa, in una cultura che
direttamente o indirettamente si rifà al
pensero di Heidegger , si manifesti la
maggiore contrarietà a questa “liberalizzazione” tecnologica.