mercoledì 29 giugno 2016



Sul dopo Pannella: risposta a Sofri
Da Il Foglio, 14 giugno
Sottraendosi alle insidie di una polemica centrata sulle amministrative ancora – per via dei ballottaggi – in corso, una polemica che vede lacerata e frammentata, tra aspre polemiche, la “galassia” radicale, Adriano Sofri prova a tracciare il percorso di un futuro possibile per quella galassia e, in particolare, per il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito. E’ una questione su cui, ovviamente, si  arrovellano i radicali, assieme a quanti con i radicali, o con Pannella, hanno avuto una commistione di intenti più o meno stretta o intima. Ma è bello - e personalmente lo ringrazio - che a porre la domanda sia uno istituzionalmente non-radicale, anche se dei radicali e di Pannella da sempre strettissimo sodale, di lotte e di vita. Credo purtroppo sia il solo.
Per darci una immagine di cosa sia (o sia stato) il partito radicale dalle sue origini, Sofri trascrive una bellissima lettera in cui Pannella fa una sorta di riassunto dello Statuto, il documento fondante approvato al III° Congresso del Partito (Bologna, 1967) : “L’iscrizione non comporta alcuna forma di disciplina (...) si compra la tessera, come si compra un biglietto di treno (...). Un partito nonviolento è il luogo dell’incontro di gente di buona volontà...”, ecc. Quello Statuto, ricorda opportunamente Sofri, era per i radicali quel che per altri è “il manifesto o il programma”. E si chiede “se l’impegno a tenere o rimettere insieme i pezzi della galassia radicale potrebbe partire da ‘Tornare allo Statuto’”.  Sarebbe bello, se non fosse impossibile. Sofri non ricorda (non può, evidentemente) quel che Marco nella sua lettera sottace, e cioè che quella “gente di buona volontà”, cui non era chiesto di “sacrificare la propria libertà a una identità collettiva”, era poi anche quella che Marco stesso, con il suo immenso carisma, sapeva compattare e “scagliare” su un obiettivo, un unico obiettivo, carico di forza esplosiva come di volta in volta furono  il divorzio, l’aborto, i referendum, l’amnistia, ecc. “La gente di buona volontà”, gli iscritti o militanti del partito, di anno in anno, nei congressi, sceglievano tra le tante iniziative possibili, e perseguivano solo quella che veniva approvata a maggioranza qualificata. E di volta in volta, anno dopo anno, c’era chi “comperava” il biglietto del treno radicale ma anche chi ne scendeva, non condividendo la scelta congressuale. Così sono state via via costruite tutte le iniziative, vincenti o perdenti,  per le quali Pannella spese la sua carica carismatica.
Da qualche anno, questa caratteristica dell’obiettivo “unico si era perduta: in tanti degli ultimi congressi, la mozione era diventata un centone che raccattava ogni minimo suggerimento, idea, proposta avanzata nella sede congressuale da questo o quello dei presenti. Questo sistema serviva a vincere i congressi, e si è via via istituzionalizzato diventando la molla effettiva della nascita di “Radicali Italiani”, convinti di poter recuperare attraverso la moltiplicazione degli obiettivi quel consenso (elettorale) che la prassi monotematica sembrava aver fatto perdere. Non ci si accorgeva di stare imitando e perfino precedendo, per questa via, il movimento grillino e rinfocolando tutte le infinite rabbie anticasta che stanno dissolvendo ogni possibilità di una politica ancora definbile come razionale.
Il monotematismo pannelliano aveva la sua fonte profonda nella rigorosa e testarda analisi del sistema politico italiano, con la sua partitocrazia, la sua ingovernabilità. Pannella introdusse nel lessico il termine di “alternativa”, in un paese nel quale neppure il termine di “alternanza”” aveva un suo legittimo status, stretto come era nella morsa del consociativismo, dell’unità nazionale, ecc. Al di là dell’obiettivo del momento (il divorzio, l’aborto, ecc.) le campagne pannelliane ponevano al centro l’obiettivo di scardinare il sistema, favorendo la nascita e la crescita, appunto, di una “alternativa” di classi dirigenti (anche sul piano sociologico), nonché - evidentemente - di istituzioni (sistema elettorale uninominale, effettivo bipartitismo, niente finanziamento ai partiti...). In qualche modo, somigliava a quell’intransigente moralismo con cui Giuliano Ferrara combatte l’ammorbante “pensiero unico”, del dilagante “politically correct”. E non per caso Pannella dimostrò attenzione verso la “brava gente” grillina. Con un distinguo: lui aveva come bandiera e punto di riferimento il diritto, la legge, Grillo ha un sistema valoriale di tipo contenutistico, identico o parallelo a quello delle forze che combatte.
Il lascito di Pannella è molto complesso, ma quasi sempre misconosciuto. Un notissimo studioso della politica, Sergio Romano, ha osservato che l’indicazione gandhiana di Pannella era fuori luogo, perché l’Italia non è un paese paragonabile a quell’India che Gandhi portò, con le sue campagne nonviolente, all’indipendenza dall’Inghilterrra colonialista. Non si è mai avvertito che, grazie alla scelta nonviolenta gandhiana Pannella ha potuto, all’epoca della guerra fredda, mettere in piedi un movimento antimilitarista che si poneva in diretto confronto politico con il pacifismo di scuola comunista, caldeggiato dall’URSS e dilagante in Italia e in Europa. L’antimilitarismo pannelliano era di pretto stampo occidentale, era nato nel dialogo costante con i movimenti di liberazione americani, dichiaratamente anticomunisti. La non-violenza pannelliana fu, successivamente, un efficace antidoto alla violenza rivoluzionaria predicata (e perseguita) dai movimenti sessantottino e successivi, quelli della  “rivoluzione sulla canna del fucile” (Mao). Durante la guerra nel Vietnam , i radicali poterono invocare la pace guardando alla nonviolenza dei monaci buddisti e non agli eserciti di Ho-Chi Min. La nonviolenza pannelliana fu dunque un preciso discrimine politico, e di grande efficacia. E’ una eredità pannelliana che rischia di essere vanificata. Non è la sola. Con molta precisione, Sofri individua altri punti sempre validi del lascito pannelliano (distanziandosi da Bordin, per il quale ‘dell’eredità di Pannella è inutile parlare”): per esempio auspica  che “il desiderio di riaffrontare con una ambizione ‘sproporzionata’ lo stato del mondo sia la chiave di una rinnovata iniziativa radicale” in parallelo con la campagna per”il diritto alla conoscenza come fonte  della transizione allo stato di diritto in tutto il mondo” (che non è, come dubita Sofri, una mera “tautologia”, ma un serissimo progetto).  Sono questi i due pilastri che aprono la vista, come avverte Sofri,  su un “orizzonte internazionalista” capace di combattere ”i pescecani dello statalismo nazionalista europeo”.
Proprio perché anche io ritengo essenziali questi obiettivi e vorrei che non si disperdessero nel nulla, non sono d’accordo con Sofri sulla necessità di tenere - comunque - un Congresso del Partito Transnazionale. Ci si dovrà arrivare, ma quando si avrà la fiduciosa prospettiva che possa essere qualcosa di nuovo e di produttivo, non la fotografia di un esistente che oggi è in sicuro deficit di possibilità, e di speranze.

venerdì 24 giugno 2016



TOH! FORSE LA RAGGI E’ UNA VERA RENZIANA

Da “L’Opinione” del 23 luglio 2016

Si sa, il comico dice spesso la verità, anzi, spiattella proprio quelle verità che altri non osa dire seriamente. Parlo di quel  tipo di comico che punge vicende, situazioni , personaggi  reali, insomma il comico che fa satira. E’ un personaggio letterario e teatrale  noto fin dall’antichità. I romani di uno cosi dicevano:  “Castigat ridendo mores”: sferza, ridendo, i (cattivi) costumi. In questa simpatica specialità  Grillo fu bravissimo, sia in Tv che sui palcoscenici di mezz’Italia. Anche la sua carriera politica cominciò con l’esercizio di una sferzante e implacabile satira sociale e politica su platee e palcoscenici. Oggi che fa il politico a tempo  pieno  dice più o meno quel che diceva da comico: attacca, sferza, aggredisce quelli che ritiene i siano i mali del paese, a  partire da quella ingombrante casta di privilegiati che sono l politici professionisti. Le folle lo applaudivano come comico satireggiante, perhé non dovrebbero votare per lui, il politico moraleggiante? La satira, ribadiamolo ancora, dice verità scomode, ma che piacciono alla gente.

C’è ora il rischio che i grillini divenuti sindaci provino a mettere in pratica le battute al vetriolo  del loro maestro e leader. Così apprendiamo, per esempio, che le tirate e gli sberleffi contro la speculazione edilizia che ha arricchito, specialmente a Roma, generazioni di palazzinari e infiniti Consigli di Amministrazione  di grandi Immobiliari potrebbero diventare i temi  di una decisa politica urbanistica. Il nuovo assessore, Paolo Berdini, è da tempo noto e qualificato esponente delle tesi  più radicalmente ostili ad una indiscriminata crescita edilizia. Vuoi  vedere che questa volta a Roma davvero verranno tagliate le unghie ai grandi e spiccoli speculatori, palazzinari o immobiliari che siano?  Ma la battaglia contro la speculazione sulle aree fabbricabili non era un  cavallo di battaglia delle sinistre, dei democratici e  dei loro urbanisti? Altroché, però raramente, e in modo approssimatico e cauteloso, diventavano oggetto di una seria attenzione dei loro assessori e  amministratori: i cassetti delle loro scrivanie rigurgitavano di progetti  messi  nel dimenticatoio, o quasi.

Almeno a una prima vista, i programmi delle giunte grilline di Roma e Torino contengono idee e progetti  un tempo cari alle sinistre, compreso il PD (magari con qualche eccesso di zelo. come la riluttanza a mettere in vendita i carrozzoni degli enti municipalizzati e malgestiti).  Dunque, non ha torto Renzi quando si complimenta con i grillini per quella che riconosce come una loro vittoria giusta e legittima, perché loro hanno “dato voce al cambiamento”, quel cambiamento che il suo partito, o la sua minoranza interna, ha negato a lui. Sì, in certo modo e, si intenda, con tutti i limiti, il grillismo può essere visto, in controluce, come una variante del renzismo. Renzi ha perso non perché è stato troppo Renzi, come lo accusano i suoi compagni (si fa per dire) delle sinistre interne,  ma perché è stato “poco “ Renzi,  perché non lo è stato fino in fondo come rottamatore e promotore del cambiamento tante volte promesso a parole. E credo sia chiaro che molta della insoddisfazione da cui è scaturito il voto protestatario nasca dalla rabbia per le troppe promesse rimaste inevase. In un suo recente commento, l’ottimo Stefano  Folli ha potuto tranquillamente sostenere che tutto potrebbe “risolversi  individuando una Chiara Appendino o una Vrginia Raggi renziana (è in fondo il retropensiero è che entrambe sarebbero renziane se solo le circostanze temporali avesser incrociato diversamente i destini personali)”.  Se questa (non troppo balzana) ipotesi non si è fatta realtà è perché “la dimensione renziana...si  è trovata a convivere con una tradizione dedita a coltivare le proprie radici nel territorio. Radici all’improvviso perdute, certo anche per gli errori compiuti: ad esempio, quello di immaginare che fosse possibile vivere di rendita, pressoché immobili nel tumulto dei tempi”.
 Già, il “tumulto dei tempi”: quello che – diciamolo – non viene colto né da Renzi né tantomeno dalle sue inconsapevoli ma zelanti seguaci  con tessera grillina.