ATTUALITA’ DELLA NONVIOLENZA
da "Il Foglio", 29 dicembre 2015
(redazione originale, completa)
I metodi della lotta civile e politica
nonviolenta, gandhiana
ma anche ormai pienamente “occidentale”, hanno una storia
lunga e
teoreticamente complessa, non possono essere sbrigativamente definiti - come è successo a Maurizio
Crippa alcuni giorni
fa -
una “pratica protestaria” di stampo
“pannelliano”. Emergono nella cultura e nella prassi
politica
contemporanea, con tutta
la loro
ricchezza teorica e pratica, grazie ai movimenti per i Diritti Civili
esplosi negli Stati
Uniti agli inizi degli anni ’60. Discendevano però da teorizzazioni o intuizioni fiorite, alla fine
dell’ottocento, in una Londra - in una Inghilterra - vivacizzata,
sotto la coltre
vittoriana, da una panoplia di movimenti e di idee che nel loro complesso oggi siamo
soliti ricordare
come il premarxista “socialismo
umanitario”.
In quell’Inghilterra, in
quella Londra, venivano messi a
fuoco temi che poi hanno formato il
bagaglio, o l’arma
d’urto, dei movimenti americani - e non solo
americani - per
il Diritti Civili, tra Berkeley, Woodstock e la Marcia su
Washington di M.
Luther King: dalla libera sessualità al libero amore, dal
vegetarianesimo alla
nonviolenza e alle sue pratiche di lotta, la disobbedienza civile,
ecc. Questa fioritura
venne sommersa dall’avvento
della cultura e prassi marxista, che puntava le sua carte solo sul
non
mediabile scontro di classe. Quel
socialismo umanitario
lasciò come sua eredità storica
la Società Fabiana e la London School
of Economics. Sembrò scomparire del tutto nell’età dei totalitarismi,
riapparve con i
movimenti americani dei Diritti Civili (già
preconizzati, peraltro,
dal Charter delle Nazioni Unite - ottobre 1945).
E’ su questi capisaldi
che
si è venuta elaborando una teoria generale dei rapporti tra individuo (o
soggetto) e
Stato ricca di spunti di stampo umanitario e libertario. Una
compiuta teoria dei
Diritti Civili si contrappone frontalmente
ad ogni concezione dello Stato come blocco o entità unitaria, ad
ogni statualità
che si concepisca come “une et indivisible” secondo la tradizione
giacobina. Si
contrappone anche al
Machiavelli e alla
sua concezione del potere. E’ nata infatti come
elaborazione della
logica e della cultura federaliste, tipicamente americane. Ed è
una teoria di
enorme attualità, nel processo in corso di costruzione di una
soggettività, di
una umanità, adeguata alle esigenze della globalizzazione,
tendenzialmente
universalista. Nel disfarsi – innanzitutto nell’Occidente – dello
Stato-Nazione,
nella stessa vicenda delle migrazioni epocali cui stiamo
assistendo, l’uomo, il
singolo, il soggetto o come volete chiamarlo, esige e richiede la
formalizzazione dei suoi diritti “umani”, uguali ed universali, al
di là di
ogni frontiera. E’ su un assunto del genere, seppur con mezzi violenti ed armi di guerra, che
l’Occidente è
in guerra con l’Islam o con le sue estremizzazioni; ed è proprio
per impedire
il diffondersi di quei Diritti
Civili
che l’ISIS oggi, ma in realtà ogni fondamentalismo, schiera le sue
armate, non
solo metaforiche e ideali.
Nella difesa e promozione dei Diritti Civili,
il singolo, il
soggetto, pone in campo non solo le “idee” ma anche il suo corpo. Così il corpo acquisisce una
dimensione
nuova, diventa parte integrante del soggetto, della soggettività. Può, in questa veste e
funzione, divenire
esso stesso protagonista e “attore” della politica. E’ in questa
dimensione che
va collocata la “disobbedienza civile” o l’ “autodenuncia”, che
non è una
“manfrina” ma un gesto serio e responsabile di confronto con
l’Istituzione
pubblica, lo Stato. L’individuo, o – alla Hannah Arendt – il
soggetto, chiede
allo Stato di giudicarlo, e magari condannarlo, secondo le leggi
proprie allo
Stato. Il confronto giudiziario che viene richiesto dal gesto di
disobbedienza
o dalla autodenuncia – che deve essere formulata nel pieno e
scrupoloso rispetto
della legge – dovrebbe far
scaturire una
più profonda comprensione della norma vigente, della sua validità o
della sua inadeguatezza. Ecco
il fondamento di queste come
delle altre “ pratiche”
nonviolente, cui Crippa
guarda con diffidenza. Sono
“pratiche”, dunque, non “protestatarie”,
perché si pongono e pongono obiettivi
ben
precisi, in termini di rispetto, ma anche di fondazione delle
leggi. Che
devono avere dunque, come
elemento essenziale
e inderogabile, il rispetto e l’autodeterminazione del
corpo. Anche per
quel che concerne la sceta del momento di concludere la propria
vita, non
ritenuta più degna di vivere. Che lo Stato definisca per legge
questa libertà
non significa promuovere la “negazione della vita”. Una legge sul
“finis vitae” non
costringe nessuno alla pratica
dell’eutanasia, ma lascia libertà di farlo a chi lo voglia, nel
rispetto delle sue
motivazioni, come anche delle
modalità
necessariamente imposte
dalla legge.
Ovviamente, perché il
gesto - ma non ci ricorda Camus, per dire? - sia davvero un
momento di lotta
per i diritti civili e non un gratuita occasione di esibizionismo,
dovrà esservi
una effetiva congruenza
tra mezzo
- la disobbedienza civile,
l’autodenuncia,
ecc. - e obbiettivi. L’emancipazione
dei neri negli anni ’60 in
America, o la liberazione
della donna da condizioni
inadeguate al suo essere “persona” autodeterminata, o anche una intensa stagione
referendaria
radicale, possono aprire
nel paese,
grazie alla clamorosa - se si vuole, “esibita”, cioè resa pubblica
- disobbedienza
civile, un dibattito di
alto livello. Fu
questa la scelta di Piergiorgio Welby, e fu questa la motivazione
per la quale
la Chiesa gli inibì il sacramento. Il suo era un gesto volutamente
pubblico, e per questo condannabile e condannato...
Poi, se
qualcuno
abusa o usa male lo strumento, c’è solo da deniunciare la pochezza o l’inadeguatezza del
suo gesto.
Nella pubblicità, in un dibattito
che investa
l’opinione pubblica (e non resti ristretto “tra il radicale e la
chiesa”) , il
vero e il falso possono essere messi in luce.
Ma quasi sempre è proprio questo che non si vuole. Rita
Bernardini si è
autodenciata per coltivazione e possesso di piante di marijuhana.
E’ un reato
codificato, ma l’autorità pubblica si guarda bene dal dare corso
alla sua
autodenincia. E facile capire il perché.