martedì 28 gennaio 2014

si spengono gli ultimi fuochi
e la luce si placa
scritture risplendono
l'uomo, inquisito dai suoi ricordi

giovedì 23 gennaio 2014





                                                                            


                                                     ATEISMO ALL'ATTACCO
                                                                 dal "Foglio"


Azzardo: nessuno, forse, ha bisogno di Dio quanto l'ateo. L'ateo lotta contro Dio, ma perché questo gli sia possibile è necessario che vi sia Dio: l'ateo cerca di scalzarlo dal suo trono maestoso, ma se si dedica con impegno a questa bisogna è perché vede, anzi è acciecato dal fulgore di quel trono. L'iconoclasta si scaglia contro l'immagine da cui emana potenza e potere, sovente lo fa perché cupido di impossessarsi  di quegli attributi. Nella sua furia, non si rende conto che probabilmente è lui stesso a farla risplendere. Quanto meno vi coopera. Con qualche analogia, lo sforzo dell'ateo conseguente è di costruire, o tentar di costruire, una logica, una spiegazione, una architettura del mondo che sia plausibile senza che si debba ricorrere all'intervento divino. Per i credenti il mondo è senz'altro - come potrebbe essere altrimenti? - l'opera vera, bella e buona di una intelligenza creatrice; per l'ateo, il mondo è il prodotto di una forza o un complesso di forze che si autogenerano ed operano in base a neutre leggi naturali. Il curioso è che i duellanti parlano dello stesso mondo, l'unico che c'è e di cui si possa parlare: non cambierebbe nel momento in cui si accertasse definitivamente la sua origine, e si individuassero la o le sue cause prossime e lontane: creato da Dio oppure frutto del caso, il mondo è questo così com'è. Dunque la disputa  pare del tutto ininfluente. Se presentata in altro contesto culturale, sarebbe addirittura incomprensibile.

La polemica dell'ateo contro Dio e le religioni resta però interessante ed anzi interessantissima, se messa a fuoco e letta nell'ambito della cultura che soprattutto la ospita e la fomenta: in definitiva la nostra, quella greco-cristiana. Le ragioni dell'ateo si inseriscono profondamente in questa storia: vogliamo dire a partire da Gorgia o piuttosto dall'immenso Lucrezio? Ciascuno si scelga gli autori che vuole, tutti comunque potranno trovare molto utile la lettura di un'opera interamente dedicata a questa vicenda culturale e apparsa ora in libreria: "Ateismo e laicità", primo volume di una raccolta di "studi sociologici" curata da Phil Zuckerman per le edizioni "Ipermedium" di Antonio Cavicchia Scalamonti. Phil Zuckerman è docente di sociologia al Pitzer College di Claremont, California, e si occupa specificamente di questo ambito tematico - la secolarizzazione, l'ateismo, l'apostasia, etc. - "che inspiegabilmente ha finora attratto scarsa attenzione da parte degli studiosi". Nella sua ricca introduzione, Scalamonti sostiene che "L'Essere", cioè il soggetto noumenico, metafisico, in cui si identifica la figura di Dio è semplicemente la "sostantivizzazione" dell'infinito di un verbo, quale si incontra nella grammatica greca classica. Un "errore", insomma. Non so se si possa definirlo un "errore", certo è che su "l'Essere" si è fondata quasi integralmente la filosofia e la speculazione dell'Occidente. Forse persino la società. Se fosse un errore, dovrebbe essere facile smontarlo. Invece il confronto con l'ateo non ha confini né termine, come ci dimostrano molto bene proprio le pagine in questione, a partire dal saggio di Jack David Eller, "Cos'è l'ateismo", una carrellata tra le diverse definizioni (o connotazioni) che il termine ha avuto nel tempo e presso le varie situazioni culturali. Interessanti anche i saggi che esplorano il rapporto dell'ateismo con la famiglia (Christel Manning) o la sessualità (Thomas J. Linneman e Margaret A. Clendenen) volti  (come peraltro tutto il libro) a smantellare e sfatare pregiudizi e incomprensioni che gravano sull'ateo. "Vi fidereste di un ateo?", si chiede Benjamin Beit-Hallahmi, rivisitando le diverse declinazioni di una convinzione che ha sicuramente un largo credito sociale, e cioè che "gli individui che rifiutano tutto ciò che è soprannaturale", gli atei, "sono stati a lungo considerati moralmente sospetti". Tra quanti hanno avallato questa credenza l'autore cita figure eminenti, come John Locke: "le promesse, i patti e i giuramenti, che sono legami della società, non possono fare presa su un ateo" (già, ci eravamo dimenticati che, in molti paesi, nei tribunali il testimone deve giurare tenendo la mano sulla Bibbia, come fa del resto anche il Presidente degli Stati Uniti all'atto dell'insediamento). Inevitable la citazione del Dostoevskij dei "Fratelli Karamazov": Mitja racconta ad Alioscia della sua conversazione con l'ateo Rakitin: "Ma che ne sarà degli uomini allora, gli ho chiesto, senza Dio e senza la vita immortale? Tutto è lecito quindi, possono fare ciò che vogliono?" "Non lo sapevi", ha detto ridendo, "un uomo intelligente può fare ciò che vuole...".

Approfondire le tesi o la vastissima documentazione di questo libro sarebbe impossibile, dovrei limitarmi a citazioni un po' aneddotiche. Ma lo conserverò nella mia biblioteca perché può darmi informazioni preziose, anche se debbo ribadire che non trovo convincente certe sue tesi assiomatiche, un po' troppo - come dire? - impregnate di un fideismo ateo che a me, laico, non convince.

giovedì 16 gennaio 2014



TECNICHE  E  BUFALE
da "Il Foglio"

Conoscete, avete mai visto i bufali d'acqua, i corpulenti ruminanti cugini del bue, dal latte delle cui vacche si produce, miracolo italiano, la mozzarella? Sono originari, pare, dell'India, dove ancor oggi vengono adibiti a lavori campestri. Arrivarono secoli fa in Italia, subito apprezzati sopratutto per il latte ricco e grasso. Creature di un Dio molto rustico, li conoscevamo e li amavamo, come ritratti anche da molti artisti, inseriti in un paesaggio umido, di stagni, paludi, fiumare, fossi e gorelli. Neri, con le corna arcuate, i bufali o, per dir meglio, le bufale passavano la maggior parte del tempo brade, immerse in pozze cospicue d'acqua. Hanno infatti la pelle che soffre il sole e la secchezza. Per secoli, lo spettacolo di quelle teste nere che emergevano dall'acqua con il naso fumante e gli occhi vigili e curiosi sull'estraneo ha accompagnanto il nostro immaginario. Erano anche utilizzate per ripulire le fiumare intasate da arbusti e sterpaglia: trottandovi sopra, con la loro mole strappavano gli intrichi e liberavano le occlusioni. Le bufale sono intelligenti, il mandriano le riconosce per nome.

Un giorno però l'Uomo, sotto l'ispirazione del Dio della Tecnica, ha trovato inaccettabile che il latte delle bufale venisse raccolto, come per secoli si era fatto, sporco del brago delle fiumare. Così le bestie sono state trasferite in grandi stalle dotate di ogni ritrovamento tecnologico (forse c'entra anche qualche direttiva CEE). A parte che per mangiare sono costrette ad infilare il collo tra anguste e carcerarie sbarre metalliche, le bestie vengono, ad intervalli, sottoposte a lunghe spruzzate di acqua nebulizzata, mentre lame d'acqua scorrono sotto le loro zampe per raccogliere lo strame e lavare i pavimenti. Così la tecnologia ha sostituito le pozze d'un tempo. Persino la raccolta del latte, la mungitura, è fatta elettronicamente, da robot che riescono ad infilare nelle pompette aspiranti il capezzolo, individuato grazie a sensori luminosi. Mi ha fatto male, vedere le povere bufale, che un tempo si immergevano con gusto nelle acque torbide, oppure si rotolavano tra le erbe per staccare dalla pelle il fango disseccato, o pascolavano placidamente tra sugherete e canneti, aggirarsi ora inoperose nelle lucide e sterili stalle. Ruminano nel vuoto, ho avuto un brivido scorgendo nei loro occhi - così mi è parso -  una noia soporosa, mortale. Non c'è bisogno di essere animalisti per detestare a volte le tecnologie. Per le galline, finalmente si è capito che la supertecnologia degli allevamenti di massa (per colpa dei quali, pare, le galline hanno disimparato a covare) era controproducente ai fini della produzione di uova e si comincia ad apprezzare di nuovo la gallina ruspante, "di fattoria". Sono casi in cui la tecnica e le tecnologie mi sono odiose e sospiro per il loro rifiuto, vorrei sperare che presto anche le bufale d'acqua vengano restituite alla (loro) natura. 

Non credo però che i miei voti possano essere esauditi. Lasciamo da parte bufale e galline, la tecnologia (avida figlia della tecnica) assedia senza pietà non la natura in generale ma la nostra natura, la natura umana. La chiesa, le chiese tentano vanamente una qualche resistenza. Filosofi tardoheideggeriani le si scagliano contro. C'è chi preconizza, da scienziato, che presto all'"homo habilis, all'erectus, al sapiens, succederà l'homo electronicus". "Ci sarà un post-umano dopo il post-moderno?" , è l'ansioso interrogativo: e "le macchine diventeranno parte dell'uomo, oppure dovremo chiederci quanta parte di noi sarà sintetica?" Soprattutto, il gran discutere è sul cervello. Dell'uomo, s'intende. Quello naturale, ma anche quello artificiale. Una volta, se toccavi questo tema, eri sotto il tiro di una artiglieria di fanatici, c'era una sacralità del cervello. Oggi c'è una sorta di fissazione, un feroce accanimento a stuzzicarlo: dipende dal fatto che oggi neurologi e/o psichiatri sono convinti che lavorando attorno al cervello, alle sue circonvoluzioni, ecc., si possa arrivare al fondo della verità sull'uomo in sé. Mi pare che per gli antichi l'organo umano più importante fosse il fegato, dal quale etruschi e romani traevano previsioni e auspici sul futuro, non solo dell'individuo ma della società e dello Stato. Pur vantando il privilegio di poter essere già sostituito da un congegno artificiale, anche il cuore è passato in second'ordine. Oggi è il cervello ad essere caricato di mirabolanti attese, forse lo si ritiene sede dell'anima, o di quel che è essenza per l'uomo. Così è divenuto l'oggetto del desiderio di neurologi, di chirurghi, e magari anche degli ateisti: un uomo con cervello artificiale non ha più bisogno di dio. "Quel che resta da vedere, afferma perplesso il nostro interlocutore, è 'di che qualità' sarà questa vita, quali benefici (...) si riveleranno davvero benefici, piuttosto che maledizioni o disastri". Già, l'umanità potrebbe correre il rischio che le tenologie assicurino una vita - per così dire - perfetta, ma immersa nella stessa noia di quella delle bufale.


venerdì 3 gennaio 2014

Il senso del peccato precede il peccato. Se così non fosse, il peccato non si riconoscerebbe.