domenica 28 luglio 2013
domenica 7 luglio 2013
MATRIMONIO GAY (ED ALTRO)
da "Il Foglio"
Le due sentenze - di portata storica - con le quali la
Corte Suprema degli Stati Uniti ha spalancato le porte ai matrimoni
gay non nascono dietro la diretta spinta di una opinione pubblica
determinata e mobilitata, ma (credo) come interventi di routine. La
prima delibera sul merito di una legge (il cosidetto “Doma”,
Defense of Marriage Act) varata nell'ormai lontano 1996 sotto la
presidenza Clinton, la seconda mette il naso nelle procedure adottate
da un tribunale statale californiano per abrogare il referendum
popolare - favorevole al matrimonio gay - tenutosi nel 2008: la Corte
rimpalla al tribunale la decisione di merito, il tribunale non potrà
non tener conto dell’altra sentenza, la cui efficacia si estende a
tutti gli Stati della Federazione. La cosa più singolare però è
che la vicenda ha visto schierarsi dalla stessa parte due membri
della Corte che di solito si collocano, per storia e convinzioni
personali, in campi opposti. Il liberal David Boies e il conservatore
Ted Olson si sono trovati concordi nella difesa di un principio che è
alla base della migliore filosofia politica americana, quello della
salvaguardia dei diritti del cittadino, sanciti dalla Costituzione.
Si può, come i democratici, inclinare un po’ più verso il
principio dell'eguaglianza, ma la differenza cade quando entrano in
ballo, come è sembrato in questo caso, i grandi valori della
libertà. Il paese nel quale chiunque ha diritto a possedere ogni
tipo di arma alla fine non poteva più ignorare le rivendicazioni
gay: nell’uno come nell’altro caso, il desiderio si fa diritto.
Lo Stato non si intrometta in certe faccende; semmai l’ostacolo è
stato, è e sarà a lungo il moralismo sessuale “middle class” e
puritano, quello denunciato un secolo e mezzo fa da Hawthorne in “The
scarlet letter”.
Negli stessi giorni, la stessa Corte Suprema aveva
picconato seriamente un pilastro della difesa dei diritti civili per
i neri, ma non molto tempo prima aveva stabilito la non
brevettabilità dei geni umani. Intanto una senatrice democratica,
Wendy Davis, ha dovuto sobbarcarsi a un intervento oratorio di
tredici ore (una tipica forma di filibustering, cioè di
ostruzionismo) con l’obiettivo di far bloccare, per scadenza dei
tempi, un disegno di legge dei repubblicani contro l’aborto. Non
siamo di fronte dunque a una deriva ideologica di stampo
progressista, ma piuttosto al dispiegarsi di una dialettica
democratica che di volta in volta distingue e sceglie. Vogliamo dire,
secondo coscienza? Credo si possa e si debba - in coscienza -
affermarlo; ma è giocoforza anche riconoscere che le due sentenze
della Corte americana si iscrivono in un flusso di pensiero che tende
al riconoscimento, se non addirittura all’invenzione, di nuovi
diritti civili per l’uomo del terzo millennio e di un mondo sempre
più globalizzato.
Una voce, su questo giornale, ha ammonito che la
differenza di genere risponde ad un modello di “civilizzazione
tradizionale” degno di ogni rispetto; quella voce ha ragioni da
rivendicare, senza perciò dover arrivare a condannare l’aspirazione
a fare dell’uomo un “soggetto razionale”, vale a dire un
anonimo numero tra i numeri: questa aspirazione è anch’essa figlia
di quella civilizzazione, che ha storicamente perseguito l’obiettivo
di definire l’uomo come un “soggetto” universale - e dunque
proiettato verso l’acquisizione di diritti “razionali”,
ugualmente universali. Certo, il dibattito sul concetto di “persona”
che sottostà al concetto di “soggetto razionale” non è concluso
(si veda la scottante questione dell’aborto e della definizione
dello “status” del feto), ma la direzione di marcia appare
tracciata, almeno nei paesi democratici. Perché, stiamo attenti, il
richiamo alla tradizione può rivelare oscure pulsioni reazionarie:
proprio in questi giorni, in Russia è stata approvata una legge che
vieta la propaganda omosessuale: anzi, addirittura, i rapporti
sessuali “non tradizionali” in presenza di minori. E in Italia?
Tutto sembra fermo, una delibera del tipo di quella americana è, al
momento, impensabile. Eppure la nostra Corte Costituzionale fin dal
2010 ha stabilito che a persone dello stesso sesso che convivano
stabilmente spetta “il diritto fondamentale di vivere liberamente
una condizione di coppia ottenendone il riconoscimento giuridico con
i connessi diritti e doveri”; due anni dopo la Corte di Cassazione
ha ribadito che, mentre è venuto meno il requisito della diversità
di sesso, le coppie omo possono rivolgersi al giudice “per far
valere (…) il diritto ad un trattamento omogeneo a quello
assicurato per legge alla coppia coniugata”. Paese curioso, il
nostro. Con una recentissima sentenza, le sezioni unite civili della
Cassazione hanno aperto la strada alla stipulazione di intese tra lo
Stato e una Associazione (Uaar) di atei professi, in analogia a
quanto è riconosciuto alle confessioni religiose altre dalla
cattolica. Chi lo avrebbe mai detto? Non c’entra con la questione
dei matrimoni gay, ma qualcosa vuol dire in tema di ampliamento dei
diritti civili e dello stesso concetto di persona. Bisognerà
tornarci su.
Iscriviti a:
Post (Atom)