domenica 27 gennaio 2013


Pirandello, Cecov e il piccolo-borghese che è in noi, nel momento in cui ci accorgiamo di esserlo. Il piccolo-borghese è un impasto necessario, esistenziale, di frustrazioni che il proletario non conosce ma che neppure l'aristocratico avverte. Il proletario è costretto, l'aristocratico è legato a un ruolo specifico: il primo ne è oppresso, il secondo se ne fa un principio, se non un dovere. Il borghese è, per definizione, legato ad una funzione, e questa funzione è legata strettamente al denaro, al possesso o maneggio del denaro. Se la funzione lo soddisfa, se il denaro è molto, bene; se invece il denaro è scarso e la funzione è non soddisfacente, il borghese è frustrato. Un principe è un principe anche in miseria, e può guardare dall'alto in basso il borghese qualsiasi che gli sta davanti. Un borghese polveroso e malvestito si sente, oltre ad essere, miserabile. Da questa sua frustrazione si può anche vendicare, sovvertendo il mondo, cioè le funzioni del mondo, costitutive del mondo.

giovedì 24 gennaio 2013


In ogni momento dato, l’evento è quello che è. In ogni momento dato, il male e il bene che vi si fronteggiano sono a somma zero, la spinta reciproca si equivale. Dunque in ogni punto e istante (un evento è insieme punto e istante) c’è perfetto equilibrio e immobilità.

domenica 13 gennaio 2013


Tutti i modelli (e i comportamenti) della razionalità contemporanea sono il derivato di un rifiuto, dunque di una angoscia. L'uomo di oggi è ossessionato dal bisogno di rifiutare (in primo luogo, il proprio passato). Nello stesso momento, però, questa angoscia, questo rifiuto, viene nascosto e annullato. La società contemporanea non ammetterebbe mai di dover ricorrere alla categoria della negazione. Essa nega di negare, si pone come la società dell'assoluta affermazione.

giovedì 10 gennaio 2013

                                         
                                   RITA  E  TERESA

da il "Foglio"

Solenni le onoranze funebri, largamente partecipate le manifestazioni popolari di stima e di cordoglio per Rita Levi Montalcini, recentemente scomparsa. Era stata espressione di una società civile, di una borghesia colta, aperta sul mondo, dalla scienza ai grandi temi civili ed etici. Per la singolarità dell'impegno umano, paralleli si possono agevolmente fare con Maria Montessori, Grazia Deledda, Sibilla Aleramo. Aggiungerei a questi nomi - non stupitevi - quello di Madre Teresa di Calcutta.

Che di più lontano, l'una dall'altra? Da una parte una scienziata di forti convinzioni laiche, magari un po' scientiste, dall'altra la santa suora votata all'adorazione di Cristo e a lenire umane sofferenze. Due figure simboliche  di mondi che si ignorano, diffidano e forse si detestano reciprocamente. Assai diverse dunque, però vicine tra loro almeno in una cosa: nella determinazione a seguire una vocazione che quanto meno le strappava dallo stereotipo della donna tutta casa e famiglia (o da quello della donna mercificata nel corpo e nel sesso). E per seguire quella loro vocazione sia Rita Levi Montalcini che Madre Teresa di Calcutta hanno dovuto trasgredire comandamenti, norme, abitudini e consuetudini assai radicate. La ancora bambinetta decisa a non sposarsi e a non avere figli per dedicarsi alla scienza trasgredisce - era nata nel 1909 - a ovvi tabù sociali, la suora che di volta in volta si determina ad interpretare autonomamente, se non a infrangere, regole monacali stabilite e rigide, per indirizzarsi testardamente su progetti sociali e caritatevoli non immediatamente in sintonia con il suo stesso ambiente religioso, sono esempi paralleli di un interpretazione libertaria - direi - del ruolo femminile. Il formarsi della coscienza, del sé, non può che essere così, trasgressivo. Sicuramente ve ne saranno state altre, di donne ugualmente sottrattesi al destino loro imposto: quanto sto annotando valga anche per quelle. Vorrei infine sottolineare che non solo il mondo religioso ma anche quello laico ha - diciamo - le sue icone di riferimento etico, non vi è nessuno che non veda come alla devozione che suscita la suora può perfettamente sovrapporsi l'ammirazione e il rispetto per la scienziata forse addirittura atea. Perché distinguere le onoranze, separarne la memoria? I laici forse snobbano il paragone, i credenti e i clericali non lo prendono nemmeno in considerazione, credo.

Ecco una notizia deflagrante: giorni fa, alla Clinica ostetrica di Padova, il professor Giovanni Battista Nardelli ha disposto che sul braccialetto di riconoscimento fissato al polso di un neonato figlio di una lesbica vi fosse il nome della madre ma anche quello, non già del coniuge o dell'uomo - il padre, insomma - ma della "partner" convivente: ha ritenuto, anche infrangendo leggi e norme tabù, che bisogna non "offendere la sensibilità di nessuno". Data la situazione, il piccolo dovrebbe essere considerato il frutto di una fecondazione eterologa, quella che in Italia è vietata grazie alla famosa, e ormai ridotta a colabrodo, Legge 40; ma poiché il "partner" è donna, il reato non sussiste, immagino. Intorno alla vicenda - e grazie a un intervento di Ernesto Galli della Loggia - si è acceso sulla stampa un dibattito per interrogarsi se sia giusto che gli omosessuali abbiano figli e possano - addirittura - desiderare di averli: secondo alcuni l'omosessuale dovrebbe rinunciare alla figliolanza, proprio per onestà verso se stesso e la sua vissuta sessualità. Pare a me che la discussione, ma soprattutto quest'ultima asserzione, sia inadeguata. Quando l'omosessualità era proibita - e anche duramente punita - l'omosessuale molto spesso si acconciava al matrimonio e faceva figli: così si riscattava agli occhi del mondo e soprattutto nascondeva la verità. E non parliamo della donna, di quando il lesbismo non era nemmeno riconosciuto. In moltissimi ambienti e contesti la lesbica (taciuta) poteva trovarsi costretta, addirittura, a un matrimonio combinato, e ovviamente doveva soddisfare sessualmente il marito e dargli figli. Nessuno si è mai chiesto quanta sofferenza spirituale e fisica sia costata, nei secoli, ai milioni di lesbiche che si sono viste negare e violentare la loro effettiva realtà psichica. Per loro, fare figli poteva essere un tormento, un dramma. Chi se ne è mai curato? Oggi, una lesbica finalmente libera vuole liberamente avere un figlio, nei modi che la tecnica ma anche ormai il consenso sociale le consente. Glielo si vuol proibire.

Terza vicenda. La chiesa anglicana, o una sua maggioranza, ha deliberato che un suo vescovo possa essere gay dichiarato. Finora era ammesso che potesse esserlo un sacerdote, la concessione viene ora estesa anche ai vescovi, appunto. L'inviato da Londra di una TV italiana ha zelantemente notato che la vicenda sta facendo trasmigrare alla chiesa cattolica romana molti anglicani sdegnati. A me è venuto piuttosto da pensare che sarebbe molto bello se una TV italiana organizzasse un dibattito tra esponenti delle due confessioni: sarebbe interessante, e anche giornalisticamente efficace. Lo vedremo mai?