VON
TRIER E IL MIRACOLO
(da
“Il Foglio”)
Oppresso
dalla calura, per passare le serate mi rifugio nei DVD. Li prendo ad
una biblioteca comunale che ne ha una buona collezione anche se un
po' invecchiata, con l'inarrestabile prosciugarsi dei fondi temo che
non potranno più acquistarne di nuovi. Questa volta ho puntato su un
regista difficile, Lars von Trier. “Le onde del destino” -
“Breaking
the Waves” - è un suo film del 1996,
protagonista una impareggiabile Emily Watson. E' la storia di una
ragazza scozzese che abita in un piccolo paese delle Highlands la cui
vita sociale è minuziosamente tenuta d'occhio e controllata dal
consiglio degli anziani della chiesa calvinista, gretti, ritualisti e
sessuofobi. Bess, giovane, spensierata e un po' infantile, si
innamora e sposa Jan, un operaio che lavora su una piattaforma
petrolifera al largo della costa e che gli anziani della chiesa
guardano con sospetto: per loro è uno “straniero”. I due si
amano con trasporto, anche sessuale. Quando Jan deve rientrare sulla
piattaforma per lavorare, Bess soffre moltissimo la sua lontananza.
In strani, immaginari colloqui con Dio, prega ardentemente perché
torni presto da lei. Ma Jan è vittima di un grave incidente, e
rimane paralizzato. Impotente e immobile nel lettino d'ospedale,
suggerisce a Bess di fare l'amore con un altro uomo e di venire poi a
raccontargli i particolari: è come se facessero l'amore loro due, le
dice. Bess dapprima inorridisce, poi si persuade che obbedendo al
desiderio di Jan potrà aiutarlo a vivere, e magari a guarire. Così
comincia a frequentare uomini, i primi che incontra. E, curiosamente,
ogni volta che lei fa sesso Jan ha miglioramenti o addirittura scampa
alla morte. I medici avvertono Bess che il marito è in preda a una
mente ormai malata e ossessionata, ma lei non vuole dare loro retta.
In un finale (melo)drammatico, Bess viene violentata e maltrattata
dagli uomini cui si è offerta, fino a morire. Ma ecco che il
miracolo si realizza e Jan ha uno spettacolare miglioramento,
riacquistando l'uso del corpo, fino a poter lasciare l'ospedale.
Resta profondamente e sinceramente addolorato dalla morte dell'amata
Bess.
Il film
pone, in qualche modo, il tema del miracolo. E' vero, o almeno
possibile, che Bess ha salvato Jan con il sacrificio del suo corpo?
Se è vero, per quanto increduli, dovremo riconoscere il miracolo. O
invece si tratta di una allucinata e allucinante sequenza di
coincidenze? Von Trier è regista complesso e controverso, che
esplora i momenti e le situazioni borderline dell'esistenza, con un
pedale molto spinto sui temi del sesso, abbastanza espliciti e crudi
anche in questo film. Convertito al cattolicesimo dopo un'educazione
rigorosamente atea, cinico e persino con debolezze filo-naziste, non
mi pare che Trier voglia qui aprirsi davvero al miracolo: pone una
domanda, le gira intorno, la esaspera fino al sadismo, ma direi che
volutamente non ci dà risposta. Comunque, la sequenza degli eventi
può dar adito ad una interpretazione nella quale abbia parte la fede
nel miracolo, come premio all'ingenuo misticismo di Bess, in lotta
con una cultura medica impregnata di razionalismo scientista ma anche
con un opprimente fanatismo fondamentalista. Sono andato a
scartabellarmi certi appunti presi sfogliando libri nuovi in
libreria, e ho ripescato una citazione che mi aveva subito
affascinato e che per questo avevo copiato sul taccuino. E' dello
storico Jacques Le Goff, grande studioso del medioevo : un periodo
nel quale la fede (o la credenza) nel miracolo era parte costitutiva
della vita e della società. La citazione recita, testualmente: “Il
miracolo esiste a partire dal momento in cui ci si può credere, e
tramonta e poi sparisce quando non ci si può più credere”. La
trovo molto bella, accettabile anche da un laico (forse, non da un
laicista). Cosa ci dice Le Goff? Innanzitutto, che la fede nel
miracolo non è un dato residuale, quasi folkloristico, credenza
buona per il popolino ignorante o per anime deboli. La fede nel
miracolo è un aspetto particolare della fenomenologia dell'esistenza
umana che con un suo specifico linguaggio e suoi specifici
significati si pone accanto ad altri linguaggi e momenti
epistemologico-logici. E', insomma, un comportamento che trova la sua
verità nella utilità e nei benefici che può offrire. Ovviamente,
c'è anche uno sfruttamento interessato delle credenze (se non della
credulità) della gente, e questo sfruttamento va condannato. Ma una
adesione formale e rigida ai canoni del razionalismo può portare,
con la condanna di ogni miracolismo, su posizioni persino irrazionali
e comunque irragionevoli e ingiuste. Bess è convinta, fino al
sacrificio, che il suo comportamento, illogico per i più e
inconsapevolmente fanatico, abbia un senso e una funzione.
Ingenuamente si nutre della sua fede e per lei, appunto, “il
miracolo esiste dal momento in cui ci si può credere”. Siamo
all'interno dello scandalo dell'esistenza, uno scandalo che nessun
razionalismo potrà mai eliminare. A me pare che sia molto laico
accettare questa contraddizione. Nessuno ha il diritto di precludere
ad altri le vie della speranza: anche Bess, a suo modo, resiste al
negativo del mondo.